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La letterina del sabato 23 dicembre 2023

Care Amiche e cari Amici,

questa Letterina cade all’anti vigilia del Natale e non può che essere dedicata a questa ricorrenza. Il Natale, una cosa certa per secoli da queste parti, ora a qualcuno forse non piace; qualcun altro lo strapazza per i propri comodi; qualcun altro ancora si esibisce nell’ignorarla con atteggiamento snob. 

A noi, il Natale, piace così com’è. Ci piace per quel che è nei nostri ricordi, per quel che fa vibrare nei nostri affetti sinceri. Ci piace anche nella ritualità delle promesse fatte sin da bambini e mai rispettate, negli gli impegni migliorativi nei quali quelle promesse si son trasformati col passare degli anni, anch’essi rimasti perlopiù belle parole.

 

Come la maggior parte degli auguri, continuiamo a collocarli, quegli impegni, nei pressi di questa festa quasi fossero palle da appendere all’albero, decori d’occasione, belli ma poco concreti, vuoti. Però sono colorati. È vero, son colori che sbiadiscono presto. Ma son bei colori, colori gioiosi. Non è il grigio della tristezza. Non è il cupo nerume della cappa con cui s’ammanta chi, meschino lui, vuol mostrarsi diverso dagli altri anche a Natale, ma lo fa solo per apparire, per uno sterile autocompiacimento che poi è sempre lo stesso. 

Ai miei eroici ventitré Lettori, a quanti amano frequentare questo spazio di libertà, a chi non lo ama questo spazio, a tutti quelli che amano il Natale, a quelli che hanno almeno un bel ricordo di un solo Natale, a quelli che riescono a provare un filo di struggente nostalgia, a chi sorride col cuore quando fa gli auguri, a chi fa un regalo con sincerità senza misurarlo in euro, a chi non riceverà alcun regalo, a chi non potremo abbracciare e a chi riabbracceremo, a chi ha responsabilità nella nostra Comunità, a chi si è impegnato e si impegna per il bene della nostra Comunità, a chi non riesce a fare il bene della Comunità perché è animato solo da odio e avversione, a chi ora sto dimenticando ma si riconoscerà lo stesso in questo augurio, alle persone di buona volontà e a quelle che ce la mettono tutta per vanificare ogni buona cosa, a tutte e a tutti faccio gli auguri di un santo e sereno Natale. E auguro a tutti di avere in tasca il tempo di una preghiera e di una riflessione da dedicare alla stragrande maggioranza dell’umanità che sta peggio di noi, a cominciare da tanti cha abbiamo davvero vicini e non solo in lontani continenti. 

Una preghiera è segno di comunione. Una riflessione è la chiave che può aprire la porta di un domani migliore: l’una e l’altra hanno la stessa energia, l’Amore.

Questo Natale cade nall’800esimo anniversario del primo presepe, quello che San Francesco d’Assisi allestì a Greccio. Quest’anno, anche quest’anno, è giusto, oltre che bello, avere una speciale attenzione per il presepe. San Francesco probabilmente non intendeva lanciare una moda e neppure chissà quale messaggio perché si è limitato, come si faceva a quel tempo, a organizzare una rappresentazione che spiegasse alle persone semplici, quelle che non sapevano il “latinorum”, ciò che le scritture avevano descritto come nascita di Gesù. Conoscendo anche poco della vita e del pensiero di San Francesco siamo però certi che non c’era allora, non ci può esser oggi, alcun messaggio né intento divisivo nel presepe. Chi vuole vedercelo è semplicemente in malafede. Allora chi lo fa il presepe, chi lo dona, chi va vedere quello fatto da altri o chi semplicemente si imbatte in un presepe, si fermi un attimo a contemplarlo. Può anche non pregare. Può non farsi il segno della croce (meglio non farlo che fare quello che don Vincenzo descriveva come un “segno scacciamosche”). Però si fermi a contemplare il presepe lasciando a sé stesso i pochi attimi che restano dopo il giudizio estetico, dopo la meraviglia o la delusione per le fattezze e i particolari dell’allestimento. Non sarà tempo perso. Si farà un bel regalo di Natale.

Care Amiche cari Amici, avrei voluto chiudere questa Letterina così, con questo delicato, semplice e discreto invito natalizio. Ma non posso rimandare ad altra data il ricordo di Paolo Anzideo, l’uomo, il grande Concittadino protagonista della nostra storia recente, lo sportivo capace come pochi di fare della passione l’energia inesauribile di una attività dirigenziale che ha portato il calcio miglianichese a vette insperate, senza mai distrarsi dall’esser parte molto attiva, anche se sempre in posizione volutamente defilata, in tante altre iniziative attuate a Miglianico e per Miglianico. Da giorni il mio cuore è tormentato e mai come in questa occasione mi sono trovato in difficoltà davanti alla morte. Sarà stato per il momento personale, sarà stato per come ho appreso la notizia, sarà stato per non so dire per che cosa ma la difficoltà che ho provato e provo ancora è stata diversa da tante altre volte pur non facili. Ora aggiungere parole alle tantissime e bellissime che in molti hanno saputo dire o scrivere in pubblico o in privato, ripeterne alcune che sento più profonde e appropriate per sottolinearne il significato, sarebbe comunque una inutile ripetizione. 

Preferisco condividere con voi due piccolissimi ricordi personali legati a Paolo Anzideo che ho tenuto carissimi. 

Il primo risale davvero a non so quanti anni fa. La Biblioteca comunale si trovava allora al piano terra, lato colle, del Palazzo di Donna Giulia, che era stata sede della Scuola Media fino a poco tempo prima. Era uno dei luoghi del nostro incontrarci. A gestirla c’era una giovanissima Annarella, allora fidanzata di Paolo. Mi capitò un pomeriggio di assistere ad un loro intenso discorso sulle tende da mettere in casa. Stavano per sposarsi e fui colpito non solo dall’argomento che tanto li appassionava ma, in particolare, dalla attenzione meticolosa (e competente visto il percorso professionale che Paolo aveva iniziato brillantemente e che egregiamente portò poi avanti negli anni con gradissimo successo) che lui, “il maschio”, dedicava ad un argomento che a quel tempo mi sembrava tutt’altro che maschile. In realtà si trattò di uno dei più bei dialoghi tra innamorati ai quali ho mai assistito. Quelli non erano discorsi tecnici o tentativi di far prevalere il proprio gusto. Era progettare il loro futuro di coppia senza delegarlo agli altri, il metter su famiglia pensando a comporre ogni elemento, condividendo tutto, anche i particolari. Fu una piccola lezione che, nel mio piccolo, mi son trovato a seguire quando è toccato a me.

L’altro ricordo, oltre al luogo, ha una data ben definita. Era il 3 novembre del 1975. Ero con alcuni Amici, tra i quali sicuramente Amerigo Timperio (che oggi compie gli anni, ndr. “Auguri!”) e Maurizio Gubbiotti, nel Centro Sociale di Educazione Permanente (CSEP) che il Comune, con il contributo della Provincia aveva aperto prima in via Roma e allora si trovava nel locale di via Sud, il primo dietro l’allora Ufficio Postale. Era pomeriggio inoltrato, quasi sera, la porta era aperta e davanti ad essa si fermò una macchina, alla cui guida c’era Paolo Anzideo. Con lui c’erano Nicola Mincone e Peppino Cipollone. Cercavano noi, fu subito evidente perché scesero e vennero direttamente a parlarci. L’argomento era fisicamente chiaro nelle loro mani. Un rotolo di manifesti per la celebrazione del 4 novembre a firma della Democrazia Cristiana, mentre in macchina c’erano la scatoletta della colla in polvere, un secchio e un vecchio pennello da imbianchino. Loro erano tra quelli che a giugno avevano perso alle comunali. Noi non eravamo ancora elettori e neanche militanti e men che mai tesserati perché non avevamo ancora 18 anni. Eravamo stati una volta sotto il balcone di zio Ercolino ad applaudirli, non solo perché nelle nostre case (la mia e quella di Amerigo, ndr.) la tradizione politica era quella ma perché Nicola, Paolo, Peppino ed altri (non l’allora segretario né chi fu capolista della DC nel giugno 1975) erano per noi quelli dell’Azione Cattolica Parrocchiale, quelli che erano con noi in gita ad Assisi nel 1973, quelli che avevano la precedenza al tavolo da ping-pong perché più grandi di noi, quelli che, prima di noi, avevano fatto il presepe moderno sotto la Cripta. Vennero dunque a chiamarci per chiederci una missione speciale: affiggere quei manifesti senza farci vedere dai comunisti. Ci riunimmo la notte nell’ufficio di Papà per preparare la colla Sichozell con una cura maniacale e per passare il tempo, dalla mezzanotte alle due, mangiando pop-corn e bevendo un po’ di Montepulciano con la gazzosa. Poi uscimmo furtivi e determinati e compimmo l’opera. La mattina i manifesti erano affissi in tutto il centro abitato. Fu il primo segnale di “esistenza in vita” della DC locale dopo la traumatica sconfitta del ’75. Per noi, per me in particolare, fu la chiamata all’impegno politico che, quindi, è rimasto legato anche a Paolo, il quale non solo fu il primo volto a comparire davanti a quella porta ma, dei tre che vennero a cercarci, fu quello che ci incoraggiò all’azione, al coraggio del fare più che a motivarci con discorsi di circostanza. 

Affiggo oggi un manifesto speciale per lui nel ricordo che lo illumina e nell’affetto che ha meritato.

Buona Domenica           

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